Il
lavoro
di
Francesco
Bertelé
nasce
dalla
ricerca
di
una
relazione
individuale
con
i
luoghi
che
l’artista
si
trova
a
vivere;
luoghi
in
cui
la
dimensione
naturale
è
fortemente
presente,
e
sui
quali
si
proietta
il
suo
desiderio
di
una
sintonia
profonda,
primaria,
organica.
Nel
tentativo
di
costruire
questa
relazione,
Bertelé
attiva
connessioni
nel
tempo
e
nello
spazio,
recuperando
storie
e
miti
locali,
dissotterrando
oggetti,
innescando
forme
diverse
di
condivisione
con
figure
del
posto.
Guha,
realizzata
durante
un
periodo
di
residenza
trascorso
in
Islanda,
scaturisce
da
una
riflessione
in
cui
si
intersecano
diversi
temi;
tra
gli
altri
quello
dello
studio
d’artista,
inteso
non
solo
come
luogo
fisico
di
produzione,
ma
come
condizione
per
un
viaggio
interiore
che
comprende
la
meditazione,
l’approfondimento
e
la
riscoperta
della
memoria,
individuale
e
collettiva,
che
proprio
nella
solitudine
affiora
più
facilmente
dal
passato;
è,
questa,
una
dimensione
consona
all’incontro
con
il
nuovo,
e
con
l’“altro”.
“Guha
– scrive
Bertelè
-
è
la
caverna
interiore
sul
bordo
del
mondo;
è
un
monumento
ambientale
nascosto
nel
ventre
della
terra.
Un
rifugio
invisibile
per
la
meditazione
sulla
natura
dalla
quale
noi
tutti
dipendiamo.”
L’allestimento
comprende una serie di disegni, fotografie e manufatti; alcuni
oggetti trovati; un video; un dispositivo ottico che, come i disegni,
ci porta indietro nella storia delle tecniche della visione, a una
sorta di tecnologia antica. Il tutto si compone in una sorta di
diario.
[…]
La
ricerca
di
un
vuoto
per
far
si
che
si
lasci
un
varco
all'immaginario,
per
ottenerne
una
decolonizzazione.
Una
sintesi
concettuale
che
si
è
tradotta
in
un
metodo
pratico
di
meditazione
quotidiana.
L'opera
realizzata
è
invisibile
ai
più,
nascosta
al
termine
di
quel
percorso
che
là
mi
ha
portato.
Solo
chi
vorrà
intraprendere
questo
viaggio
la
potrà
trovare,
scoprendo
la
propria
caverna
del
cuore.
Ecco
perché questa mostra si compone di vari elementi tutti demarcati da
una forte componente diaristica. Ognuno di questi elementi dai
contorni instabili è parte di quel processo di iperestensione(1)
che nel suo divenire compone l'opera come un non finito,
costellazione di elementi personali, legati da un unico tracciato
possibile. Il mio vissuto. All'interno di questi elementi, esposti in
mostra, è però celato un codice che può portare colui/lei che lo
decifrerà al luogo esatto della caverna realizzata in Islanda. Ma
solo una persona potrà farlo, perché alcuni elementi in mostra
devono essere distrutti per procedere.
Il
legame univoco che si instaura tra l'opera e il suo unico vero
fruitore, fa sì che egli debba intraprendere un viaggio verso
l'opera, un proprio percorso, fatta di esperienze ed incontri che lo
porteranno forse verso una privata meditazione e personale 'caverna
del cuore'.”
Testo
di Gabi Scardi per la mostra “Seminerò perle di principessa in una
caverna” presso NCTM.
(1)
“Il
processo di iperestensione viene mostrato includendo l'artista
stesso, come un sempre più integrato agente ecologico.” Julia
Martin
:::
La lettera
Sono
partito con un'idea, astratta e lontana, lontana dal luogo in cui
sono e lontana dal mio essere in questo luogo.
Sono
partito con l'idea di realizzare una 'caverna del cuore'. La mia
caverna del cuore.
E'
il luogo del vuoto come assenza e abbandono dell'io.
Non
aver timore perchè il vuoto non può essere offeso dal vuoto. Tutto
è tua immagine illusoria, nulla esiste in realtà, al di fuori, come
cosa reale; né
gli dei, né i demoni, né il demonio dalla testa di toro.
Il
coraggio per abbandonare la caverna e cercare la luce. Una luce fatta
di memoria...
Ma
io vorace consumatore di luoghi e tempo, dilatato verso lo zero
dell'attimo consumato dopo attimo, mi ritrovo in un presente continuo
ed inesorabile.
Mi
son chiesto come potessi tornare indietro nel tempo e costruirmi un
rifugio. Come sopravvivere qui.
Come
l'uomo
delle buche
. Fare buche per essere invisibile al mondo. Un mondo di rumore.
Ho
bisogno del silenzio dell'immagine, silenzio del consumo
dell'immagine.
Ho
bisogno di generare vuoto, di tornare nel vuoto prima della parola.
Ho bisogno di imparare a fare buche. Buche per esistere e apparire
solo come buca.
Ma
per farlo devo allenarmi di incorruttibilità in ogni più banale
pensiero. Devo uscire dall'economia dell'immaginario.
Guarda
e non distrarti!
Provo
allora a trovare alcuni bordi, mi focalizzo su quei tagli.
Sto
attaccato alla terra, come la radice di una pianta errante e afferro
il quotidiano altrove per ritrovare casa.
Sono
contenuto e contenitore di natura.
Cerco
di spostare con la mente un masso creduto sacro ma in verità
nient'altro che zavorra per antiche barche da mercante.
Ma
che diritto hai tu di intrometterti nella mia esistenza?
Il
mio viaggio qui è un viaggio dentro me. E' un percorso esoterico di
isolamento e perdita di tutte le sicurezze.
Pensare
con il corpo, con tutta la sua durezza. pelle carne sangue ossa linfa
respiro mente. Non c'è nulla da ottenere, nulla da rendere.
Io
esigo il congelamento dell'insetto nell'ambra, la sintesi della perla
nelle valve.
Io
sono sostenitore dell'essere umano come agente, capace di 'consegnare
una goccia di splendore alla morte'.
Un
assassino in abiura un giorno scrisse che 'il
rimpianto, quasi sempre, è la corsia preferenziale verso
l'impostura'.
Oggi
ho cancellato quello che ho fatto negli ultimi giorni. Ho seguito il
consiglio della neve. Lascio che il tempo mi trasformi e dia le sue
perle. Un ruscello di perle.
Osservo
il mondo ed ho poche parole inadeguate.
Ho
solo nella testa un fischiare ininterrotto di vento che impedisce i
pensieri, tempesta che mi tormenta.
Da
qui non porterò via nulla e qui lascerò il mondo solidificato in un
grumo di vuoto.
Insomma,
son dovuto giungere fino a qui, una mattina uscire e andare alla
ricerca di un teschio d'anatra visto sulla spiaggia qualche giorno
prima, per trovare al suo posto la scultura perfetta, che ha avuto
bisogno di due anni di gestazione trentasette dei quali di mera
manipolazione e modellazione.
Ovunque
ci sia uomo e spiritualità c'è una caverna nel
cuore.
Seyðisfjörður, Iceland
2015
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